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lunedì 7 marzo 2011

OGGI ESCO

Mi sono fatta sette anni di carcere per rapina a mano armata e oggi finalmente esco. Sto radunando le mie quattro cose per lasciare la cella che è stata per ottantaquattro mesi la mia camera, il mio bagno, la mia sala e la mia cucina.
Mi chiedo quanto la città sarà cambiata in tutto questo tempo: sicuramente più macchine, più smog e le rotonde al posto dei semafori. Io invece non sono cambiata molto. Sono sempre stata un animale selvatico, amante della solitudine e del rischio pesante. I miei compagni di merende sono in carcere, qualcuno è morto, qualcun altro chissà.
Di certo il tempo per pensare non mi è mancato, ma non ho letto, non ho studiato come facevano in molte lì dentro: ho ascoltato le storie di tante donne, le peripezie e le avventure di ladre, assassine, malviventi di ogni genere.
La guardia mi sta chiamando, quella stronza che fa la cresta sulle sigarette e sul cibo, mi dice che il mio tempo è scaduto e che devo liberare la gabbia.
Esco e c'è il sole, nessuno mi aspetta fuori, niente marito con bambini in braccio che piange di gioia per la madre/moglie ritrovata. Decido di arrivare a piedi fino alla casa di mia madre, l'ultima volta che ci siamo viste viveva ancora a questo indirizzo. Incontrare le persone che sfrecciano veloci quasi quanto le loro auto mi rende nervosa, aumento il passo fino quasi a correre. Ma che cazzo sto facendo? Mi fermo per riprendere fiato. Riprendo un passo più normale e arrivo alla mia vecchia casa. Suono più volte il campanello ma nessuno risponde. Decido di spaccare un vetro quando la signora della porta accanto mi dice che non c'è nessuno. L'anziana signora che viveva qui è stata portata in una casa di riposo due anni fa. Le dico che sono la figlia. Per fortuna la vecchia ha le chiavi di casa di mia madre e me le da senza fare storie. 
Quando entro in casa capisco anche il perchè: nello specchio dell'ingresso vedo una faccia che mi spaventa. Sono diventata vecchia, i miei capelli sono ispidi e grigi come pelo di topo e ho lo sguardo di un animale braccato. Per un attimo la vecchia cella sembra l'unica cosa sicura, poi vado in cucina e mi accorgo che non ci sono nè gas, nè luce. La casa mi faceva già orrore prima quando venivo a trovare mia madre figuriamoci adesso. Devo andarmene da qui. Non ho un soldo neanche per mangiare e conosco solo un modo di procurarmeli: rubare.
Torno dalla vecchia di prima, le entro in  casa con una scusa e mi porto via il suo borsellino. Ci sono dei soldi nuovi, lo so che la lira non esiste più ma di euro non ne avevo mai rubati. Li conto: sono ottantasette euro e 50 centesimi. Mi bastano per una camera d'albergo è qualcosa da mangiare. Voglio tanto farmi una doccia: il puzzo del carcere sui miei vestiti mi fa nostalgia. Mi sa che sto impazzendo.
Sono di nuovo in strada senza sapere dove andare e mi viene voglia di fare di nuovo un colpo come si deve. Per l'appunto mi trovo proprio di fronte a una bella banca: la tentazione è forte, molto forte. Stavolta però non ho neanche un arma, di fronte vedo un negozio di giocattoli che sicuramente mi può vendere una pistola finta. Infatti la prendo e mi dirigo a passo veloce verso la porta blindata.
Il mio aspetto spaventoso non passa inosservato comunque riesco ad entrare, mi avvocino alla cassa, estraggo la pistola e mi faccio dare i soldi dal tipo dietro il vetro. Poi all'improvviso mi sento colpire alla spalla, un dolore lancinante, atroce, e vedo scorrere il sangue. Quel figlio di puttana della guardia giurata mi ha sparato alle spalle pensando avessi una pistola vera. Sono a terra distesa e devo aver perso molto sangue perchè la mia testa è leggera e non sento neanche più il dolore.
Non credo di morire però perchè sento arrivare l'ambulanza a sirene spiegate, o è la polizia. O tutte e due. Non importa in fondo la cella è calda e accogliente e poi c'è una donna che ha detto di prevedere il futuro. Voglio farmi leggere la mano, la prossima volta che esco.

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